AlmaLaurea, laureati sempre più giovani e pronti a partire. Ma non è tutto oro quello che luccica

Qualche giorno fa, all’Università IULM di Milano è stata presentata la XV Indagine del Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea sul profilo dei laureati. Dall’indagine, compiuta su 227mila ex-studenti di 63 atenei d’Italia, è emerso che nel 2012:

  1. i laureati italiani hanno un’età media di 24,9 anni (25,7 nel 2011). In particolare, la laurea triennale si raggiunge a 23,9 anni, quella magistrale a 25,2 e la magistrale a ciclo unico a 26,1 anni. I più giovani a finire la triennale sono i laureati in lingue (24,5 anni), assieme agli studenti delle facoltà economico-statistiche e agli ingegneri (24,6 anni). Ci mettono di più gli aspiranti insegnanti (28,2 anni) e i laureati in giurisprudenza (30 anni). In questi ultimi due campi influisce molto la tendenza a lavorare durante gli studi;
  2. i laureati italiani sono sempre più propensi a trasferirsi per motivi di lavoro;
  3. i fuoricorso sono costituiscono il 59% del totale (rispetto al 90% del 2001);
  4. il 66% dei neo-dottori è soddisfatto del percorso prescelto. Se potesse tornare indietro, in pratica, si iscriverebbe nuovamente allo stesso corso di laurea nello stesso ateneo;
  5. gli ex-studenti hanno seguito più assiduamente i corsi. Il 68% è stato presente a più di ¾ delle ore di lezione previste;
  6. il 14% dei laureati ha trascorso un periodo di studio all’estero (Erasmus o altre attività simili), confermando il trend di ripresa di questo tipo di esperienze dopo il calo degli anni immediatamente post-riforma;
  7. il 76% sceglie di proseguire gli studi dopo la triennale. In particolare, il 61% sceglie di fare una specialistica, il 9% opta per un master e il 6% per un altro percorso. Il dato è tuttavia in calo rispetto a qualche anno fa, complice anche la crisi. Non a caso, chi prosegue gli studi viene da famiglie agiate;
  8. il 60% dei nuovi dottori ha svolto durante gli studi uno stage o un tirocinio riconosciuto dal proprio corso. Si tratta per lo più dei laureati in Agraria e Professioni Sanitarie (rispettivamente 88% e 85%). Scarsissimi, invece, i tirocini per i laureati del ramo giuridico (36%). Ma lo stage serve davvero a qualcosa? A parità di condizioni, sembrerebbe che il tirocinio aumenti del 12% la probabilità di trovare un’occupazione;
  9. pochi sono stati gli studenti stranieri che hanno scelto di studiare nei nostri atenei (3,5% del totale degli iscritti), a fronte di una media europea che si attesta all’8%;
  10. i giovani laureati italiani sperano di trovare un lavoro stabile, che consenta loro di fare carriera e di avere ampi margini di autonomia. In particolare, 1 su 5 degli intervistati spera di potersi inserire nel settore pubblico; il 31% sarebbe propenso a frequenti trasferte per lavoro; il 44% sarebbe pronto a cambiare residenza per esigenze lavorative e il 78% si dice pronto ad accettare lavori part-time e contratti a tempo indeterminato pur di acquisire professionalità.

Sembrano lontani, insomma, i tempi in cui i giovani studenti e laureati italiani subivano, da parte del politico di turno, le accuse di essere mammoni, scansafatiche, bamboccioni, choosy.

In sintesi, utilizzando le parole di Andrea Lenzi (presidente del Consiglio universitario) il rapporto dimostra che “è meglio essere laureati, ed è meglio laurearsi da giovani, avere avuto esperienze di studio all’estero e di stage per un lavoro futuro migliore e più retribuito”.

Ma…è meglio per cosa? Per chi?
Ogni giorno i giornali e i tg ci tormentano con dati allarmanti sulla disoccupazione giovanile (e non solo), sul numero di persone che non studiano e non sono in cerca di lavoro, che sono sfruttate all’interno dei contesti lavorativi o che vedono calpestati i propri diritti.

Si inneggia alla necessità di studiare bene e di farlo nei tempi, ma poi dall’altra parte le offerte di lavoro hanno in sé dell’incredibile: rimborsi spese da fame, possesso di requisiti impensabili per un neolaureato, ritmi di lavoro assurdi, contratti (quando ci sono) che non valgono nulla.

Poi, è davvero positivo che quasi la metà dei laureati italiani sia disposta a cambiare residenza, ad andare anche fuori dall’Italia, pur di lavorare? Personalmente, mi pare di no. È un segno, questo, della sconfidenza, dello sconforto, dell’inappagamento e della sfiducia verso le opportunità che il nostro Paese ci offre.

E se il numero dei fuoricorso è diminuito non è solo perché ‘ci siamo svegliati e abbiamo deciso di darci una mossa con gli studi’. È soprattutto perché, essendo calato il numero delle immatricolazioni (3 su 10 19enni si iscrivono all’università), chi lo fa è davvero motivato a intraprendere un percorso di formazione in un determinato settore e si impegna per stare nei tempi. Chi lo fa se lo può permettere economicamente, visto quello che costa oggi l’università, visti i tagli, la crisi economica, il venir meno di molte borse di studio e della qualità dell’insegnamento.

“L’università entri subito nell’agenda del nuovo Governo”, chiedono i rettori nell’appello al ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza, soprattutto per quel che riguarda lo sblocco del turnover, la semplificazione amministrativa, la programmazione finanziaria e la tutela del diritto allo studio.

Voi, invece, cosa pensate? Quanto rispondete al profilo dei laureati italiani tratteggiato dal rapporto AlmaLaurea? Qual è la vostra esperienza universitaria, cosa vi aspettate (o avete già sperimentato) dal post-laurea, cosa sarebbe opportuno che i governanti facessero per incentivare l’inserimento dei giovani laureati nel nostro Paese?

Questo è lo spazio giusto per esprimervi.

 

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